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La Parola al Design: Intervista a Nilo Gioacchini

REGISTRO

LA PAROLA
AL DESIGN: INTERVISTA
A NILO GIOACCHINI

testo: Giorgia Chicarella
collage: Rocío Fernández Lorca
foto mostra: Federica Melegari

La gradita occasione offerta dalla mostra Itinerario di una forma, dedicata al contributo progettuale di Nilo Gioacchini, ha l’indubbio merito di proporre al grande pubblico uno sguardo diverso nei confronti della storia del progetto industriale, documentando l’opera complessa di un autore per molti versi meno conosciuto in patria che a livello internazionale.

Toscano d’adozione, Gioacchini (Osimo – Ancona, 1946) dopo una breve e intensa collaborazione con lo studio milanese Nizzoli Associati, per oltre un decennio condivide l’attività col gruppo Internotredici – fondato insieme a Carlo Bimbi e Gianni Ferrara – realizzando progetti come il “mobile totale” Tuttuno e il sistema trasformabile Quadrone che già testimoniano quanto il giovane autore fosse all’epoca cosciente delle mutazioni in atto nello spazio domestico borghese. Entrambi i progetti – proposte solutive volte a sondare nuovi sensi per il living tradizionale – palesano la peculiare sensibilità di un progettista ricettivo sia nei confronti delle esigenze funzionali domestiche, sia delle valenze arredative aperte dal giunto al progetto furniture.

Umberto Rovelli

Ciao Nilo, parlaci di te e del percorso biografico, intellettuale e di fortuna che ti ha portato a diventato un designer così conosciuto e affermato

“Ho iniziato questa attività quando ancora in Italia la parola design era pressoché sconosciuta. Negli anni ‘60 era una disciplina per la quale era difficile reperire informazioni. Ne parlava la rivista Domus che trovavo nella biblioteca di mia sorella; venendo in contatto con queste prime teorizzazioni, era una materia che sentivo vera sincera, diretta, senza bisogno di intermediari (la galleria, il critico d’arte) come in certi comportamenti e situazioni afferenti all’area e ai percorsi prettamente artistici. Il design, perlomeno ai tempi, aveva meno sovrastrutture, nasceva da dentro e andava verso gli altri in maniera cosciente e immediata. Il design è intorno a noi, non è nelle gallerie nei, musei e teatri.Ho iniziato a frequentare questa disciplina iscrivendomi all’ISIA di Firenze (Istituto superiore per le industrie artistiche) dopo i miei studi artistici. La svolta è stata una conferenza a Roma di Carl Argan, critico d’arte, politico e docente italiano, e Tomas Maldonado, pittore, designer e filosofo argentino, dove ho sentito parlare del concetto di sistema e circuito di relazioni: le cose sono legate da relazione o fisica di funzionamento o puramente filosofica, puramente linguisticamente afferente. Ho trovato affascinante pensare a una sedia e un tavolo, o a cucchiaio di metallo e un piatto di ceramica, afferenti come linguaggio e parte di un sistema di relazioni di cui si potessero plasmare le forme. Ho quindi sviluppato questa mia “metodica” di riconoscere gli oggetti per la loro relazione con gli altri oggetti e analizzare i rapporti e linguaggi esterni che accompagnano quel funzionamento”.

Parlaci della tua mostra alla Galleria Bianca: il tuo personale itinerario della forma, tra Metodo e Sistema…cosa intendi? Da dove parte la tua ispirazione e come si innesta la ricerca che porta alla creazione delle tue opere?

“Per me è stata una scoperta interiore e non una delle solite mostrecommercialicheho proposto e riproposto in tutto il mondo. Questa retrospettiva mi ha permesso di accorgermi del percorso di quasi 50 anni di lavoro; è stato un momento importante, tra l’emotivo e il tecnico e non nascondo che, nell’allestire la mostra, mi sono scontrato con la logistica di problemi legati a quantità e qualità dei prodotti e difficoltà nell’esprimere il mio percorso intellettuale di design vista la preponderanza del settore di arredi da bagno a cui mi sono dedicato negli ultimi anni. Grazie alla suggestione dei curatori della mostra, Elisabetta Baratti e Guillaume Pacetti, ho ritrovato tantissimi disegni e tavole di anni fa, che hanno fatto da raccordo ai pezzi in mostra, svelandone il progetto e il percorso inventivo e tecnico che vi soggiaceva.

Anche il titolo istituzionale della rassegna “Itinerario di una Forma”, che ho dovuto e voluto rispettare, mi ha fatto riflettere, perché io ritengo la Forma uno sviluppo e sintesi del rapporto sistemico fra gli oggetti: la sintesi dell’oggetto nel suo linguaggio diventa forma. Dunque, i contenuti progettuali della mia opera lavorano verso la FORMA, non con la Forma, la mia ricerca e analisi parte dall’interno e va verso l’esterno. Sono felicissimo che questa mia personale retrospettiva alla Galleria Bianca sia stata un emblema della mia esperienza e del mio lavoro e del mio spirito nell’arco di una vita”.

Quali sono i tuoi maestri a livello di design e i tuoi modelli conoscitivi, gnoseologici e filosofici? E a livello di estetica e composizione formale, che artista/i ti ispirano e ti suggestionano?

“La concezione, il motore e l’origine di tutte le mie opere, è il concetto di Sistema. Gli oggetti appartengonoall’ambiente secondo un sistema di relazioni che interagiscono con linguaggi, funzionalità e stili di vita: gli oggetti nascono e muoiono, soppressi dalle moderne tecnologie. Come ha scritto di me Umberto Rovelli, io ho guardato al mio lavoro “girandomi dall’altra parte”, scegliendo consapevolmente di non entrare in questo meccanismo e sfuggire a questa caducità, tramite la scoperta e la fedeltà a una modalità progettuale che mi permettesse di rimanere fermo nel tempo, che non fosse espressione volubile della moda. Io, fin dall’inizio, cercavo relazioni più profonde, miravo a progettare un sistema di relazioni, conoscendo gli oggetti dall’interno, e per me è sempre stata un’istanza e una esigenza ideologica e filosofica.”

Puoi spiegarci meglio di che tipo di atteggiamento si tratta?

“Questo atteggiamento è valido per ogni ambito merceologico dal product design, al project design, all’ environmental design, all’ architectural design, essendo una modalità che ci permette di organizzare mentalmente ogni disciplina culturale. Achille Castiglioni, architetto e progettista italiano dei primi del’900, anche se non lo ha mai dichiarato esplicitamente, ha lavorato in questa direzione. Lo ammiro fin da ragazzo, e le sue opere sono sempre fresche, mai invecchiate …perché esprimono questa relazione profonda. Per quanto riguarda la mia ispirazione, parlerei più di osservazione e comprensione, e consapevolezza: l’arte sta nel design, ma l’ispirazione è più afferente alla pittura ed espressionismo pittorico, credo. Avendo una preparazione artistica ho approfondito molto il movimento moderno, della Bauhaus soprattutto, che per me è stato un riferimento preciso e costante.Chiaramente sono intriso dall’osservazione sensibile ed emotiva dei miei maestri, grandi pitture, sculture e architetti. Ho una lettura del mondo dell’arte rotonda, in continua contaminazione con quello che mi circonda”.

Come vedi oggi il mondo del design, in particolare italiano, e a che tendenza pensi vada incontro nel prossimo futuro?”

“Non vorrei essere né polemico né retorico. Tuttavia, non vedo particolare intensità nel design italiano, il Made in Italy è ormai espressione di cultura materiale e stilismo, si ritrova nel cibo ma non ne design, sopraffatto dall’ assenza di “palestre di esibizione” che erano le aziende, ora intellettualmente provinciali, perché essere esterofili solo perché sopraffatti da personalità che hanno più meriti

di diffusione che di contenuti, non è modernità, è provincialismo. Il design italiano è fortemente in crisi. Si ricercano materiali nuovissimi e straordinari per giustificare l’innovazione che invece è l’utilizzo dell’espressione tecnologica per cercare nuove relazioni e modalità di progetto di un oggetto. Il “come” usi questi nuovi materiali, non i materiali in sé. L’azienda oggi è un limbo dove ci si cimenta ad esibire qualità di alta cosmesi. Questa crisi, oltre al mutato contesto di politiche economiche aziendali e di marketing, ha una origine intellettuale, progettuale: c’è paura di approfondire. Il design odierno spesso è una espressione breve e sottile di un prodotto che ha la strenua necessità di rinnovarsi costantemente per essere venduto, uno stilismo che deve incessantemente rinnovarsi. Ho sempre cercato l’opposto, le relazioni profonde. Non vestire i prodotti. Detto questo, ho grande fiducia e speranza nei giovani, e mi auguro che sappiano leggere la storia del design, per imprimere una svolta di vera innovazione e creatività”.

Ultimamente lavori molto in Cina: parlaci di come sei arrivato così lontano e cosa ti ha portato questa esperienza a livello di conoscenza e significato, di una realtà così diversa da quella occidentale, per te e per il tuo lavoro

“La scoperta della Cina è stata casuale e curiosa. In questo mondo ho visto grande voglia di scoprire e capire come noi europei abbiamo manipolato la materia per aver raggiunto l’eccellenza nella cultura materiale, che loro stessi hanno ben più antica della nostra, ma totalmente dispersa e ripresa solo una cinquantina di anni fa. Il mondo asiatico rimane troppo condizionato dal mondo mercantile, ma è rimasta in più – mentre a noi manca – la voglia di sperimentare genuinamente. Non c’è solo una richiesta velleitaria di risultati, di prodotti, ma i Cinesi nell’approcciarsi al design occidentale vogliono capire i metodi, le procedure, i sistemi. Hanno grande rispetto e sete di informazioni, e alla fine credo di essermi innamorato di questo, fra pregi e difetti di questo mondo, della volontà di approfondire”.

Parlaci del progetto Sincronie con la cooperativa Made in Sipario, di cui vediamo in mostra alcuni sorprendenti manufatti

“Made In Sipario Onlus è una Cooperativa Sociale, un laboratorio artigiano dove persone con disabilità intellettiva producono con originale capacità creativa e sempre maggior competenza, complementi di arredo e di design artistico, oggettistica per la casa e articoli da regalo. Quando mi è stato proposto un “pro bono” per la Cooperativa, ho sentito che dovevo accettare e quando ho visitato il laboratorio sono rimasto sorpreso l’energia dei ragazzi e dalla loro “creatività parallela”: ho apprezzato talmente alcuni disegni e motivi, da pensare che potessero diventare pattern, superfici, potessero entrare in rapporto con il linguaggio del design…e abbiamo creato insieme la bellissima collezione di lampade che potete ammirare in mostra. Rigetto il pietismo e buonismo di esser coinvolto moralmente in una opera di beneficienza, perché io considero questi ragazzi come autori e li sto aiutando a capire cosa possono fare, cercando di dilatare il più possibile l’occasione di questo confronto, non solo come collaborazione artistica, ma anche a livello di consulenza imprenditoriale. La Onlus Made in Sipario, tramite crowdfunding, mira a mettere in produzione questa collezione, col fine di avere uno sbocco sul mercato”.