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La profondità delle figure piane

REGISTRO

La profondità delle figure piane

Intervista a Massimo Blu Magni Pellerani, in arte bluxm

testo: Elisabetta Baratti

CIAO BLU, SPIEGACI INNANZITUTTO IL TITOLO DELLA MOSTRA: COSA INTENDI PER PROFONDITA’ DELLE FIGURE PIANE? SEMBRA UN PARADOSSO, ALMENO PER LA GEOMETRIA EUCLIDEA, CHE SEMBRA TU CONOSCA MOLTO BENE…

Il titolo della mostra esprime tout court quello che faccio, e quello che voglio comunicare con il mio lavoro di artista.

Devo però partire da una premessa: nelle mie opere è intrinseco il ragionamento per solidi, come insegna il disegno accademico. Parto dallo studio della figura umana per poi scomporla in figure geometriche piane, non vincolandomi al solido di costruzione accademico ma provando a valorizzare l’armonia che si viene a creare tra le figure geometriche e lo spazio con il quale interagiscono, creando così un’illusione di terza dimensione, cioè la profondità, con forme bidimensionali. Rappresento dunque una figura antropomorfa oggettivamente riconoscibile (forse solo per pareidolia, dato che molti vedono altro nelle mie opere),mantenendo tuttavia un canone realistico e armonioso.

Inoltre, intendo la profondità nel titolo anche nell’accezione di spessore, di risonanza, di molteplicità di livello di esperienza estetica ed estatica, di coinvolgimento che può avere il fruitore delle mie opere. Non so se chi vede una mia opera possa capire il processo che vi sottende, chiaramente lo auspico; un ‘opera non è una brocca che imbeve o riempie chi la legge…io voglio lanciare fili, creare connessioni con l’emotività e l’emozionalità dello spettatore.

Ad un primo sguardo nelle mie opere si vede l’immagine finita, ma più ci si avvicina più si conferisce importanza alle intriganti figure di base, si ricreano i valori e le profondità, ci si può approcciare ad una zona differente e vedere le interazioni dei singoli elementi e colori. La terza dimensione si crea nel cervello di chi osserva. Solo potendo perdere (e volendo, ritrovare ) la visione globale dell’opera ,si può dare importanza alla forma, al colore e alla geometria .

QUANTO SONO RAPPRESENTATIVE DELLA TUA ARTE LE OPERE IN MOSTRA?

La serie in mostra alla Galleria Bianca al CUBO, in particolare, risale al 2017, si intitola “Spazio / Tempo”, ed è molto riconoscibile per il chiaro rigore geometrico, oltre all’ evidente ispirazione alla scultura greca classica; Spazio e Tempo sono intangibili come le figure che rappresento, e il Cronotopo ha una percezione soggettiva.
Io credo nella bellezza oggettiva delle forme geometriche ma voglio, partendo da questo caposaldo, stimolare il pensiero indipendente, dato che la percezione che deriva dalla loro contemplazione è totalmente personale.
Dopo questa serie la mia ricerca, il mio pensiero e conseguentemente la mia arte hanno subito una evoluzione: ultimamente mi sono svincolato dal dogma della linea retta e ho ri-introdotto la linea curva, essendo stata uno dei miei primi amori in giovane età, usando forme libere, curvilinee, prese dalla natura; altra cifra delle mie ultime opere sono i vuoti, che da una parte decontestualizzanoedall’altra lasciano ulteriore raggio al fruitore per contestualizzare liberamente, dovendo letteralmente“riempire un vuoto”, inventandoselo; Il bianco crea una illusione di infinito, fisico e mentale, da qui anche la scelta di usare un supporto bianco e neutro per la cornice e la superficie espositiva.

QUALI SONO LE TUE FONTI DI ISPIRAZIONE, E QUALI SONO LE DIRETTRICI DELLA TUA RICERCA ESTETICA E FILOSOFICA? RICONOSCI QUALCHE MAESTRO?

Le mie prime ispirazioni risalgonoall’adolescenzaquando, durante gli studi artistici, mi sono banalmente “accorto” che il disegno è “semplicemente” un insieme di linee condivise capaci di dare forma e sostanza ad un’immagine; il disegno figurativo in sé non è altro che un insieme di linee, e più queste sono fitte, più è dettagliata  la rappresentazione della realtà, come si può ammirare nelle incisioni di Albrecht Dürer.
Mio maestro nel disegno, per quanto riguarda l’anatomia e la figura umana, è sicuramente il fumettista, illustratore, insegnante e teorico dell’arte statunitense Burne Hogarth, ma le mie prime fonti sono i canoni classici, per me imprescindibili: dal Canone di Policleto, l’Uomo Vitruviano, la Sezione Aurea.
Ho studiato gli scritti pitagorici, rimanendo affascinato dal concetto di Tetraktys,(numero triangolare, considerato numero perfetto, rappresentato da un triangolo la cui base è formata da quattro punti (10 in totale) composto dalla somma dei primi 4 numeri(1+2+3+4=10). È la combinazione perfetta delle quattro specie di enti geometrici: il punto, la linea, la superficie, il solido. Per queste ragioni, la Tetraktys aveva un carattere sacro e rappresentava il modello teorico della visione pitagorica dell’universo, cioè un mondo che non è Kaos dominato da forze oscure e sconosciute, ma Kosmos, ordine, armonia, dato da rapporti numerici.

COSA E’ PER TE QUINDI LA BELLEZZA?

La mia è la visione di Platone nel Filebo «La bellezza della forma, non è come la gente normalmente crede, quella degli esseri viventi e dei dipinti che li raffigurano, bensì quella rettilinea e circolare delle figure piane e solide che si ottengono mediante compasso linea e squadra, perché queste cose sono belle non come le precedenti in maniera relativa ma in se stesse e per la loro propria natura.» e la mia estetica resta quindi genuinamente platonica: la Bellezza risiede nell’Arte geometrica, non in quella figurativa. Per questo motivo ho trovato nel triangolo il mio vincolo espressivo, vincolo inteso non come limite, ma come forma discreta con cui sintetizzare la figura umana.
In questa astrazione della figura umana, mi hanno ispirato fortemente le opere dell’artista George Condo, che mi hanno aperto una sorta di “orizzonte di possibilità”: dalle sue opere ho capito che, con le mie basi classiche, potevo non per forza ragionare e produrre arte in maniera classica, ma contemporanea.
Per questo credo che la“bellezza” delle mie opere non “stanchi”, proprio perché è inesausta, in quanto esula dal mero disegno figurativo che è legato indissolubilmente e in maniera univoca a ciò che rappresenta: è multisfaccettata come le mie figure, e si presta a continue, molteplici interpretazioni: le figure geometriche sono sempre nuove e interessanti per le relazione che hanno: guardandole a zone e macroaree, si svelano ogni volta inediti rapporti fra colori e forme, ed ogni sguardo è sempre nuovo: si può vedere una figura umana o focalizzarsi sulle singole geometrie, dove tutti possono vedere qualcosa di altro, di oltre e ulteriore.

COME ARTISTA CONTEMPORANEO, POSSIAMO DIRE CHE LA TUA RICERCA è ANDATA IN DIREZIONE DELLA STORIA DELL’ARTE, DAL FIGURATIVO ALL’ASTRATTISMO?

Non mi sento un artista figurativo che lavora sull’astrattismo delle figure, io uso le geometrie secondo un canone che ho studiato e imparato, seguendo gli studi di chi prima di me ha ragionato sull’argomento, come ad esempio Kandinsky, che creava equilibri e bilanciamenti di pure forme e colori; la sua estetica di emozionalità di geometrie è chiaramente matematica, come la mia, tuttavia il figurativo non è lontanamente contemplato.
Trovo che la contemporaneità abbia “lavorato bene” sull’espressione, l’appagamento estetico, sensoriale e materico, ma in fase pittorica vi ha posto eccessiva enfasi, rinnegando le regole canoniche e classiche dell’armonia delle proporzioni e delle geometrie, vedendole come vincolo formale al contenuto e all’espressione, quindi un “nemico” da debellare.
Secondo il mio punto di vista, una regola è una definizione, un confine identitario, non un limite.
Io con le mie opere voglio, a ritroso, ri-informare nuovamente questo magma emozionale ed espressionistico, secondo me arrivato al parossismo, ai canoni di perfezione greci, voglio imperniare l’espressionismo sui canoni classici. Voglio il bello delle forme geometriche unite al bello del colore, al bello della materia, al bello dell’emozione che suscita… non voglio far mancar niente!
Io mi baso su una legge inconfutabile, che la base del mondo sono la matematica e la geometria, ed è anche il linguaggio in cui è scritto l’universo, e quindi l’arte, come diceva Galileo ne “Il Saggiatore”. E credo anche fermamente che questa legge sia in grado di avvicinare i popoli abbattendo barriere etniche, linguistiche e culturali. Non è un caso che nelle mie opere il colore non sia usato in senso realistico, e le mie figure non abbiano alcun riferimento a razza, genere e gender.

COME VEDI IL FUTURO NELL’ARTE PITTORICA, DOVE IL MANTRA ODIERNO E’ CHE TUTTO SIA GIA’ STATO VISTO E GIA’ STATO FATTO?

Inventare qualcosa di nuovo è sempre possibile, non sono d’accordo che tutto sia già stato fatto e che sia stato già raggiunto il massimo. Ragionando sugli stessi concetti, due artisti differenti, con la propria soggettività e il loro Genio Creativo, anche con piccole differenze di gusto, estetica, background, medium, tecniche,chiaramentefigliedello Zeitgeist, dello Spirito del Tempo, possono arrivare ad una immensa differenza di risultato finale! Credo che il “pacchetto” – vissuto personale, talento, studio, ricerca, lavoro e ispirazione- abbia potenzialità illimitate.
Come artista, essendo la mia vocazione, credo sia fondamentale mantenere le radici della propria cultura; io l’ho fatto interiorizzando le basi e i concetti che avevano Leonardo e Michelangelo. Faccio della visione matematica di Pitagora e di Galileo una rappresentazione umanistica e contemporaneamente espressiva.